Roxi e Mimì, drag queen tra eccessi e ironia: “Felici di stupire”

Roxi e Mimì, drag queen tra eccessi e ironia: “Felici di stupire”

Gambe lunghissime su tacchi vertiginosi, abiti sfavillanti, sguardo sicuro e ammiccante incorniciato da ciglia finte e parrucche cotonate, il trucco vistoso e impeccabile. Sembrano delle enormi bambole eleganti che intrattengono, cantano, ballano, sorridono e fanno sorridere. Sono le drag queen: tecnicamente, uomini che fanno spettacolo in abiti femminili; più profondamente, artisti iconici e ironici, spesso volti delle campagne LGBTQ, apparentemente trasgressivi ma oggi amati da una platea trasversale, a seconda del tipo di spettacolo. Per conoscere meglio questa forma d’arte e i suoi protagonisti ho incontrato Roxi Pigalle e Mimì Clicquot. “Le sorelline” amano definirsi, per la collaborazione e l’amicizia che le legano sopra il palco e dietro le quinte. Una fashion e aggressiva, Roxi, l’altra bon ton e autoironica, Mimì. Ci incontriamo in un bar di Gessate, in provincia di Milano, ed è la prima volta che le vedo senza abiti e trucco di scena. Nella vita di tutti i giorni, Roxi e Mimì sono Sebastiano e Luca, due ragazzi normali con dei lavori normali: il primo lavora nel settore retail, l’altro come barista, entrambi con una grande passione per l’intrattenimento, i lustrini e la vita notturna che è diventata pian piano un secondo lavoro.

Per prima cosa cerchiamo di capire chi è e cosa fa una drag queen, e come sono nate Roxi e Mimì.
“La verità è che siamo uomini vestiti da donna – esordisce Sebastiano – quindi non mi offendo se mi chiamano travestito. La differenza è che noi lo facciamo per spettacolo, non ci travestiamo nella vita di tutti i giorni”. “Noi drag siamo l’eccesso – prosegue Luca – l’esagerazione: una ‘donna’ di due metri con i capelli cotonati, gli orecchini enormi, i ‘lampadari’ attaccati al collo i vestiti pomposi e particolari realizzati con materiali di ogni genere, non può essere scambiata per una donna, al massimo per una figura femminile che fa spettacolo”. Una forma d’arte a tutto tondo che necessita di creatività e competenza: dalla preparazione della performance (che sia un monologo, un ballo o una canzone) al trucco e al confezionamento dei costumi, che molte drag, come Roxi e Mimì, realizzano da sé. Per tutte, la parola d’ordine è ammaliare e stupire, ma è l’ironia l’ingrediente segreto: “non dimentichiamoci che siamo degli uomini vestiti da donna. Non perché ci sentiamo donna, non sempre, ma perché stiamo impersonando una figura che deve coinvolgere e far sorridere il pubblico”. E per riuscirci bisogna lavorare intensamente su originalità, ricercatezza e attitudini personali: “Ognuno sceglie il proprio personaggio anche in base a ciò che è il proprio vissuto, a ciò che piace e a ciò che sa fare – spiega Luca – . Devi avere soprattutto il contatto col pubblico e devi quindi anche capire da chi puoi andare e da chi no, bisogna essere anche un po’ psicologa”. Così, mentre Mimì è una signora quarantenne bon ton, ispirata agli anni 50, pendant dalla testa ai piedi, chiacchierona e molto ironica, Roxi è invece una ballerina di Parigi “dance anni 80”, un po’ scandalosa ma nello stesso tempo elegante. Entrambe sempre in evoluzione: “La ricerca del personaggio non finisce mai, perché è una maturazione che va di pari passo alla tua crescita come persona. Dipende anche molto dal proprio carattere. Io all’inizio volevo far ridere a tutti i costi, ma allora non capivo che quella non era la mia attitudine. Poi ho trovato nel ballo la mia inclinazione personale” racconta Sebastiano. Così, l’arte drag diventa talvolta anche un modo per esprimere una parte di sé che in panni normali rimane dormiente: “Mia mamma dice che quando mi trucco e poi esco cambio, divento una stronza – confessa Sebastiano sorridendo – . Mentre non mi sognerei mai nei panni maschili di guardare qualcuno dall’alto in basso ed avere l’atteggiamento aggressivo di Roxi. Quando ti trucchi sei irriconoscibile, il trucco è uno scudo, fai quello che vuoi tanto non sei tu. Però sotto sotto sei sempre tu. Due personalità con lo stesso cervello”. “Si chiama bipolarismo!” scherza Luca, che nel frattempo ha lasciato uscire l’irriverenza della sua Mimì. “Il personaggio non è mai una finzione, è comunque sempre una parte di noi. L’occhio umano divide le due cose ma in fondo sei la stessa persona e questa cosa deve far riflettere quando si parla di omofobia, quando a volte ci si dimentica che oltre l’apparenza c’è un’anima e un cervello”.

Dall’aspetto artistico, passiamo così a quello sociale. Nonostante non vi sia una diretta correlazione tra l’essere una drag queen e l’orientamento sessuale, il fenomeno artistico nasce e si sviluppa nella comunità gay e queer, all’interno della quale le drag queen hanno anche avuto un ruolo di primo piano nelle battaglie sociali e politiche, anche per la visibilità che le contraddistingue. “L’arte del travestimento è vecchia come il mondo ma l’arte drag è sicuramente qualcosa di diverso, è più portato all’eccesso e agli estremi rispetto al travestimento”. E trovare delle drag etero è difficile ma non impossibile. Basti pensare al mondo del cinema, o del teatro, dove ci sono molti gli uomini che recitano in panni femminili o si travestono senza per questo essere omosessuali. “La drag è l’espressione della libertà”. Ed è forse per questo che alcuni la associano ancora all’idea di trasgressione? “Forse per gli etero si. Per me che lo faccio da 10 anni è quasi la normalità. È un appuntamento settimanale con trucco, parrucco, valigia, etc. Per noi è trasgressivo quando non hai la serata” commenta Luca. “Per il mondo gay non lo è più, probabilmente da 20 anni – aggiunge Sebastiano – . Era una figura che era sparita e adesso sta tornando di moda. Però con più ricercatezza, le drag di oggi sono ‘beauty queen’ una categoria nuova: cominciano a 16 anni a sperimentare su se stessi per esempio con il make up, quindi a 20 anni hanno una pelle bellissima, sono molto curati, quasi efebici, perché sono anche molto giovani. Utilizzano delle protesi per creare le forme. Si cerca di avvicinarsi molto di più ad una figura femminile. Però dobbiamo sempre ricordarci che siamo drag, non siamo donne”.

Purtroppo la paura di ciò che è diverso e non si comprende è insita nell’essere umano e può capitare di ritrovarsi ad affrontare qualche episodio spiacevole: “Facciamo paura all’ignoranza di alcuni, ma non ci sentiamo sbagliati o a disagio. È una passione e un lavoro che fa tranquillamente parte della quotidianità”. E che coinvolge anche familiari e amici, che spesso sono i primi fan, assistono agli spettacoli e in qualche caso partecipano alla preparazione di trucco, parrucco e costumi. “Dipende anche molto da come ti comporti, da come ti poni tu, da come sei – sostiene Luca – . Quando si parla di discriminazione a volte dipende anche da come ci poniamo. Nel mio caso è un secondo lavoro, e di certo non vado al bar vestito da drag. Però sanno chi sono, mi seguono sui social, fa piacere che sia apprezzato anche nella vita di tutti i giorni”. Posizione leggermente diversa quella di Sebastiano, che ha alle spalle 8 anni di volontariato in Arcigay Milano e si è fatto promotore di un messaggio di diversità collaborando da diversi anni al Carnevale di Villasmundo, suo paese di origine, in Sicilia. “In giro per il mondo troverai due tipi di gay: il discreto, e me” sostiene sorridendo, per evidenziare le due correnti di pensiero presenti anche all’interno della comunità LGBTQ e la conseguenti azioni anche a livello sociale e politico. “C’è quella corrente di pensiero che dice ‘io sono gay ma al Pride non vado perchè è una carnevalata’, e sono gli stessi che quando gli dici che sei una drag queen spariscono perché in qualche modo prevale in loro una morale un po’ bigotta. Ma il Pride nasce colorato, per rivendicare dei diritti che siano uguali per tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale. È una manifestazione che non limita la libertà di nessuno. Può dar fastidio, ma è inclusivo. C’è spazio per tutti, tant’è vero che partecipano anche le famiglie e gli etero”. E i “family day”? “Vogliono essere liberi di limitare la libertà altrui – risponde Sebastiano senza mezzi termini – ed è un controsenso. La devi pensare solo come loro. Che poi quelli che vanno al family day sono i primi che ci scrivono di notte su Facebook, e non mi vergogno a dirlo. Quindi sotto sotto qualcosa ‘di là’ non funziona. Almeno io se ho un pensiero posso esprimerlo”.

C’è anche un luogo fisico in cui libertà e colore sono le parole d’ordine e nel quale si sono formate e hanno trovato “casa” decine di drag. Si chiama “Divina”, come la sua fondatrice, famosa drag queen da sempre simbolo dello storico locale. Fondato nel 1991 da Lorenzo e Fulvio Facchinetti, il bar Divina è uno dei ritrovi queer più longevi e famosi della Lombardia. Dapprima in centro a Bergamo nel famoso borgo Santa Caterina, e dal 2017 a Grassobbio, ospita da 30 anni artisti e artiste della scena drag e non solo, dalle più affermate alle nuove leve. “Il Divina è casa nostra, la nostra famiglia” commentano all’unisono Luca e Sebastiano. “Al Divina siamo tutte splendide e soprattutto siamo tutte uguali, trattate allo stesso modo, senza disparità; la miss è l’anima di quel locale, sperimenta, ascolta il pubblico, e riesce a mantenere una linea di gradimento sempre costante o addirittura in salita. Lì sei a casa e lei è la mamma di tutte noi. Ci fa stare proprio bene, è una sorta di famiglia”. Ma soprattutto è un luogo dove tutti sono accettati: “è un locale queer, e la filosofia queer è magica: si fa sempre tutto nel rispetto della libertà altrui”. Anche per questo motivo è diventato un luogo cult, molto frequentato anche da chi non appartiene al mondo gay. Un locale aperto a tutto e a tutti, come Miss Divina ha spesso modo di sottolineare nelle sue serate, con l’imprescindibile vincolo del rispetto della diversità dell’altro. E’ anche grazie a locali come questo che oggi la figura della drag queen è stata sdoganata: oggi una drag non lavora solo nei locali gay, ma fa intrattenimento anche in locali etero, discoteche, pizzerie, feste di piazza, adattando travestimenti e performance al contesto in cui si esibisce. “Facciamo anche tanta beneficenza – raccontano ancora Luca e Sebastiano – spesso andiamo nei reparti ospedalieri, ci esibiamo per i diversamente abili, nelle case di riposo. E nessuno si scandalizza, anzi. I bambini ci vedono come delle bambole giganti. Perché l’obiettivo è sempre divertire. Se ti manca questo piacere di far sorridere il prossimo, non sei più una drag”.

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